A voi qualche descrizione colta dal web:
BORGOMARO
Immerso negli olivi e nei boschi cedui, un paesaggio bucolico, tra architetture antiche, fontane e sapori che non si dimenticano.Sulle colline della valle del Maro tra borgate che quasi si perdono fra gli olivi e i boschi cedui, un borgo inusuale per il suo aspetto, con vie rettilinee e regolari, cosa insolita per un paese dell’entroterra ligure. La storia qui ha segni ancora vivi: archi, loggiati, colonne, ponti, mulini e frantoi. Scoprite campanili barocchi o romanici tra olivi e boschetti, un paesaggio sereno che ispira pensieri e rigenera. Di natura diversa i sapori della cucina, che dilettano il palato: oltre ai fagioli bianchi di Conio, Presidio Slow Food, lasciatevi deliziare dalla focaccia della Quaresima e dagli ottimi dolci ai semi di finocchio.
In Liguria, in provincia di Imperia, si trova questo incantevole comune che si affaccia sulle sponde del fiume Maro che offre degli incantevoli scorci e dei panorami fluviali davvero incantevoli, specialmente durante il periodo primaverile quando la natura ricomincia a rinascere. Consiglio di fermarsi a visitare la bella chiesa di san Vittorio Abate, oratorio della madonna del ponte e sicuramente la famosa pieve dei santi Nazario e Celsio, un luogo di culto prego di mistero e religioso silenzio
Se volete farvi un bel bagno ci sono i bei laghetti nel fiume di Borgomaro, il maro.
LA CASANA N.3/1998 – ITINERARI
LUGLIO – SETTEMBRE 1998 – ANNO XL
ALLA SCOPERTA DEL PONENTE LIGURE: LA VALLE DEL MARO
di Alessandro Giacobbe
Percorrendo la Statale n. 28 che collega la Riviera ligure di Ponente con il Basso Piemonte, poco dopo Chiusavecchia si incontra un bivio che permette di accedere ad un territorio appena marginale, ricchissimo di valori paesistici e monumentali.
Si tratta della valle del Maro, porzione iniziale della valle Impero.
Vi scorre il primo tratto del torrente Impero, con alcuni suoi affluenti. I numerosi laghetti formati dal corso d’acqua sono forse all’origine del toponimo: “mara” starebbe per “palude”, nella parlata ligure arcaica.
L’itinerario di visita può essere anche vario e complesso: si può passare dalla passeggiata pomeridiana alla permanenza di più giorni, con la medesima soddisfazione.
Il territorio del Maro ha sempre vissuto una storia comune: in pieno Medioevo (sec. XII) appare sotto il controllo dei conti di Ventimiglia, giunti ben al di là dei loro iniziali possedimenti in seguito ad un evidente vuoto di potere.
Nel pieno Quattrocento i loro consanguinei, conti di Ventimiglia Lascaris, signori di Tenda, ottengono il controllo pressoché completo della valle, mantenendolo con una politica guerresca. A questa fase, in cui il Maro entra a far parte di un piccolo stato regionale privo di sbocco sulla costa, ma in grado di controllare i traffici dell’entroterra, appartiene anche lo sviluppo del centro capoluogo, Borgomaro. I duchi di Savoia, bloccati a lungo dai signori di Tenda nel tentativo di espansione verso il mare, acquisiscono infine l’intera contea nel 1575. Il Maro viene in gran parte subinfeudato ai Doria di Oneglia, che cedono definitivamente città e valle Impero ai Savoia nel 1576. Restano significative presenze degli originari rami della famiglia comitale dei Ventimiglia ad Aurigo, a Caravonica, a Lucinasco. Tutto il territorio seguirà comunque la storia sabauda fino ai nostri giorni.
Il percorso inizia da San Lazzaro Reale. “Reale” perché passaggio obbligato della “strada reale del Piemonte”, che collegava Oneglia a Torino. San Lazzaro fu invece vescovo di Marsiglia: si prospetta così un’immediata relazione con l’area provenzale, con la quale il territorio onegliese intratteneva scambi non solo economici. L’importanza stradale del luogo si avverte osservando il magnifico ponte medievale a due arcate, necessario allo scorrimento della mulattiera. Al di là del ponte si notano i pochi edifici di un caratteristico piccolo borgo, Case Moline, riunito attorno alla settecentesca chiesetta di San Pantaleone. Si tratta però di una frazione dell’importante centro di Lucinasco, situato in cima alla collina che si erge di fronte a San Lazzaro. La mulattiera, dopo il ponte, entra in San Lazzaro a fianco della semplice chiesa secentesca. All’interno è notevole il trittico di Pietro Guido da Ranzo, attivo tra 1499 e 1542, nonché una statua lignea della Vergine del Rosario, databile tra XVII e XVIII secolo. Va inoltre segnalata, tra le case dell’abiato, una monumentale nicchia sacra con grande orologio, tutto in tucco policromo, tipicamente ottocentesca, che occupa quasi l’intero prospetto di un edificio. Da San Lazzaro la via prosegue nella valle del rio Trexenda, in direzione di Caravonica e del colle di San Bartolomeo. Caravonica è annunciata dal piccolo cimitero attorno al rudere della chiesa di San Michele, affossata nella valletta del Trexenda. Il titolo riporta ad una tipica devozione longobarda e fa presumere l’esistenza di un precedente insediamento. La popolazione si è poi spostata più in alto presso un punto fortificato dei conti di Ventimiglia. La perizia nella disposizione in costa delle case evoca subito il ricordo di famosi architetti originari del luogo. Tutta la zona del Maro è infatti terra d’origine di “capi d’opera” e mastri da muro”. In questo caso i tratta della famiglia Ponzello, ra cui i più noti Domenico (not. 1549-1589) e Giovanni (1558-1593) furono tra i protagonisti nella grande stagione edilizia genovese del pieno Cinquecento.
All’interno del paese si nota il palazzo Thomatis: qui soggiornò la duchessa Anna Maria di Savoia in fuga da Torino assediata nel 1706. Pare avesse con sé anche la Sacra Sindone. In tema religioso va segnalato il santuario della Madonna delle Vigne, isolato su di un costone proteso nella valletta. Il piccolo edificio, sorto a partire dal 1588 in seguito ad un evento miracoloso, con l’arrivo di una piccola statua da Savigliano, viene terminato attorno al 1740 e ompletamente decorato di stucchi. La campagna decorativa si conclude nel 1778 con l’intervento di Gio Andrea Casella, che fa di questa chiesa un esempio classico di barocchetto compiuto. Attorno al santuario si distendono amplissimi vigneti, che forniscono un vino bianco e dolce, degno complemento delle anguille, specialità principale del vicino centro di San Lazzaro.Lucinasco: d’inverno, nei pressi del santuario della Maddalena.
Sul piazzale si erge anche la piccola casa del pellegrino, innalzata nel 1653. La circostanza ricorda che la strada continua fino al passo di San Bartolomeo, già passo di San Bernardo, che ha preso nome dal paese più vicino. La chiesa di San Bartolomeo ancora a fine Cinquecento era sotto il controllo dei Cavalieri di Malta, ai quali si demandava la cura delle vie dei pellegrini.
Il valore dell’architettura rurale nella scala murata di un oliveto.
Ritornati in fondovalle, una piacevole carrozzabile lungo il corso del torrente, spesso impetuoso, conduce fino al cuore del Maro. Sotto l’aspetto ambientale è possibile notare una continua alberatura, con canneti e ripari che contribuiscono a formare una caratteristica “zona umida” ricca di presenze animali.
In breve si arriva a Borgomaro, annunciato dalla cuspide svettante del suo campanile. Sulla destra rimangono alcuni caseggiati più ampi: uno nasconde una torre difensiva quattrocentesca. Su di un fianco, presso un ristorante, si apre anche l’ingresso ad un piccolo oratorio. Seguono quindi le scuole, con i due ingressi, uno per i maschi e l’altro per le femmine, in ossequio all’originaria separazione fra i sessi. Ancora più a monte sorgono i maggiori palazzi databili tra XVII e XIX secolo, tra i quali spicca la sede comunale, già palazzo Cassio. Singolare fu la vicenda del barone Severino Cassio, il quale, in disaccordo con il paese per alcune scelte urbanistiche, scelse di essere sepolto in una tomba isolata in campagna. La tomba, vuota, esiste ancora: è una sorta di torre sul fianco destro del torrente, oltre il ponte che porta verso Maro Castello. Il vero e proprio centro di Borgomaro è però ben ordinato a ridosso della sponda destra del torrente, popolata da anatre e germani.
L’urbanistica dell’abitato corrisponde ad una fondazione preordinata, organizzata su di uno schema ortogonale, frutto della sistemazione quattrocentesca, in posizione strategica accanto a molini, frantoi e strade di comunicazione. Dopo la piazzetta della chiesa, andando verso monte, si incontra una traversa sulla quale si affaccia un edificio con il suo paramento decorativo quattrocentesco originale, composto di portale e finestre bifore in pietra recanti decorazioni a rilievo. Potrebbe trattarsi dell’originaria residenza dei signori locali, del ramo Ventimiglia o Ventimiglia Lascaris. Notevole è pure la strada principale, lastricata in pietra, sulla quale si affaccia la palazzata rinnovata nell’Ottocento, ricca di intonaci colorati, di ringhiere, di portali e sopraporta, di portoni in legno che nascondono qualche bell’ingresso secentesco. La chiesa parrocchiale è dedicata a Sant’Antonio Abate. Ricostruita attorno al 1599 e poi ancora a ridosso del 1675, conserva interessanti stucchi di tardo Seicento, in cui erano maestri i “capi d’opera” della valle, altari e pulpito marmorei settecenteschi ed il grande trittico dei Santi Nazario e Celso, con l’episodio della Veronica al centro, tratto da qualche modello grafico nordeuropeo. è opera di Raffaele de Rossi, coadiuvato dal figlio Giulio (1549-1551 ca.) e proviene dalla pieve della Valle, appunto intitolata ai Santi Nazario e Celso. Questa devozione altomedievale riporta all’antica chiesa che sorge isolata al centro del Maro. Si raggiunge prendendo la strada per Maro Castello, con una breve deviazione. Il grande complesso si presenta in un aspetto derivato dalle fasi edilizie di XV-XVI secolo, anche se sul fianco destro ed alla base del campanile compaiono tracce murarie più antiche. Notevoli sono il grande portale del 1498 in facciata ed il portale laterale del primo Cinquecento, fregiato dall’arma di Rainero di Savoia, “il Gran Bastardo”, marito di Anna di Tenda, signora anche del Maro.
Dall’antica pieve si sono via via separate le varie parrocchie locali , soprattutto nel corso del Quattrocento. Fra di esse si annovera anche quella di Carpasio, che pure si trova al di là dello spartiacque, insistendo sulla valle Argentina.
Lungo il fondovalle si incontrano ancora piccoli ponti mulattieri, come quello della Madonna, accanto ad una piccola cappella, stagni e slarghi del torrente, sovente sotto le rocce a picco, come in località Mainetta, la “spiaggia” di Borgomaro. A ridosso dell’abitato si trova anche una sorgente d’acqua solforosa, ritenuta valida per la cura delle malattie della pelle. Sempre lungo il torrente si allineano gli antichi molini e frantoi: una tradizione, questa, resa ancora viva dalla notevole attività di produzione olearia, ormai mirata all’ottima qualità dell’extravergine. Sopra Borgomaro il piccolo agglomerato di Maro Castello fronteggia i pochi resti del grande fortilizio difensivo posto al centro della valle, distrutto definitivamente dai Genovesi nel 1625.
Si entra quindi nella zona delle “ville” del Maro. In genere i centri abitati sono composti da varie borgate virilocali, ciascuna competente ad una o più famiglie.
Candeasco: il sopraporta con l’Annunciazione murato in facciata dell’oratorio di San Giovanni Battista. Così a Ville San Sebastiano si incontrano le Case Trucchi, le Case Pellegrini e la Costa. Subito dopo, a Ville San Pietro, si trovano Marpero, Ciappariolo, Barca, Costa e Case Soprane. Generalmente le chiese parrocchiali, di ricostruzione seisettecentesca, sono al centro di questi sistemi insediativi. Ma ogni borgata ha poi cappelle o piloni sacri particolari. Né vanno dimenticati i piccoli santuari isolati, come la Madonna della Neve per Ville San Sebastiano o la Madonna dell’Acquasanta per San Pietro. Ormai si passa dall’oliveto alle grandi zone boscate a roverelle (tra cui una enorme quercia considerata “la più grande d’Europa”), cui succedono i pascoli in quota. Chiude la valle l’abitato di Conio, già caposaldo dei Ventimiglia. Quanto rimane del loro punto fortificato è stato recentemente restaurato e destinato ad uso museale. Un po’ di scosta dal paese sorge l’antica parrocchiale di San Maurizio, presso la quale probabilmente si rovava l’insediamento originario.
La chiesa conserva elementi databili tra XI e XII secolo, pur apparendo nel complesso una costruzione quattrocentesca. Nei dintorni si distendono ampie fasce in ui primeggia la coltivazione del celebre “fagiolo di Conio”, protagonista di una frequentata sagra settembrina.
Sul versante sinistro della valle, di ronte a Conio, si discende da Poggialto ad Aurigo, grande insediamento agro-silvo-pastorale, notevole centro storico arricchito da elementi decorativi in pietra di ilevante interesse. Tra gli edifici più importanti si possono segnalale la chiesa parrocchiale della Natività di Maria, ricostruita a partire dal 1700 su progetto di Giacomo Filippo Marvaldi, arricchita da stucchi del tardo Settecento, ed il palazzo dei conti di Ventimiglia, ai margini dell’area già occupata dal castello. Di grande suggestione sono però gli edifici religiosi esterni al paese, raggiungibili con una strada carrozzabile che poi si inoltra nel bosco e risale sulla via di crinale tra i passi di San Bernardo e di San Bartolomeo.
Si comincia con il santuario di San Paolo, ricostruito a fine Cinquecento (sul sagrato sono tati ricollocati i capitelli della p r imitiva costruzione). Si possono ammirare il portale del 1604, la balaustra interna e soprattutto area presbiteriale in cui una cornice a stucco tardosecentesca inquadra il monumentale polittico opera di Giulio de Rossi (1569). Ancora più a monte si erge la precedente parrocchiale di Sant’Andrea, isolata tra le rocce. è probabile quindi che anche qui vi sia tato un primitivo insediamento, poi trasferito presso il castello. La chiesa ha un aspetto già barocco, ma al suo fianco si alza un ruvido ampanile, con funzione di torre difensiva, databile al XII secolo.
Chiude il percorso sul fianco sinistro della valle, ormai sopra Borgomaro, il caratteristico abitato di Candeasco. La disposizione della viabilità interna del paese rimanda ai principali percorsi di collegamento, verso il Borgo, verso il fondovalle, verso Aurigo ed il Monte Guardiabella. Candeasco è soprattutto nota per essere luogo d’origine degli architetti Marvaldi, Gio Batta (1647-1706), Giacomo Filippo (1673-1743), Francesco Maria (1699-1752) e Antonio Filippo (1730-1791), autori di molti edifici religiosi e civili in tutta la Liguria Occidentale ed esponenti di punta, assieme ai Ricca di Lavina, di intere generazioni di “mastri da muro” e “picapietre” locali. Ovviamente la chiesa parrocchiale di San Bernardino (1718-1722), l’oratorio di San Giovanni Battista ed il santuario della Madonna del Fossato (1680-1683) sono frutto della loro capacità costruttiva e decorativa. Sotto Candeasco sorge ancora il grande complesso del convento dei Francescani Riformati, fondato nel 1608 e ora residenza per anziani. è conservata pressoché intatta la chiesa del cenobio, ricca di pregevoli arredi e di molte sepolture familiari. Si ritorna quindi verso Chiusavecchia, per prendere il bivio della carrozzabile che conduce a Lucinasco: seguendo la strada che si inerpica tra gli olivi si raggiunge questo paese disposto su di uno sperone proteso verso la valle Impero. Considerato “villaggio ideale d’Italia” in un recente sondaggio promosso da una rivista specializzata, Lucinasco è ricco di molteplici valori. L’abitato riveste il crinale su tre livelli, attorno a quel che resta del medievale castello dei Ventimiglia. Sotto il castello dialogano la chiesa parrocchiale (1688-1720 ca.) di Sant’Antonino “d’Apamea”, devozione di origine provenzale, e l’oratorio di San Giovanni Battista, trasformato in un interessantissimo museo d’arte sacra. Vi sono conservati il Compianto sul Cristo morto, opera lignea databile a fine XV secolo e le numerose piccole statue prodotte da Lazzaro Acquarone, un ricco mercante locale, attivo a Genova, poi dedicatosi alla scultura tra Cinquecento e Seicento. Recentemente è stato inaugurato anche un museo etnografico composto da casa contadina, antico frantoio “a sangue”, cantina e stalla. Anche in questo caso il paese aveva un sito insediativo originario, attorno alla chiesa di Santo Stefano, ricostruita nel XVIII secolo riutilizzando elementi quattrocenteschi, tra cui il portale del 1437. La chiesa si trova al di là di un piccolo stagno, formando un insieme di notevole fascino. Da qui la strada può proseguire in direzione del santuario della Maddalena, isolato tra roverelle e castagni. è uno splendido esempio di architettura sacra del secondo Quattrocento, frutto della perizia di “picapietre” forse lombardi. Potrebbero essere le stesse maestranze attive per il santuario di Montegrazie, per la parrocchiale antica di Porto Maurizio, per la non lontana chiesina di Sant’Anna di Vasia. Del resto si è ormai vicini alle antiche vie di percorrenza di crinale. In breve tempo si può anche salire al passo di Monte Acquarone, ove si erge una piccola cappella mariana. Dalla cima del monte si può godere di una vista panoramica a 360 o sulle valli imperiesi, dal mare alle Alpi.
BIBLIOGRAFIA
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R. Paglieri – N. Pazzini Paglieri, Architettura religiosa barocca nelle Valli di Imperia, Imperia 1981.
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G. Meriana – A. Giacobbe, Valli di Imperia, Genova 1992.
N. Pazzini Paglieri – R. Paglieri, Chiese barocche a Genova e in Liguria, Genova 1992.
N. Calvini – C. Soleri Calvini, Borgomaro, Imperia 1993.
G. De Moro, Aurigo, Albenga 1993.
Fotografie di Rinangelo Paglieri